IL CONSIGLIO DI STATO 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 569 del  2011,  proposto  da:  Societa'  Consorcasa
Regione Lazio Coop.  a  r.l.,  Fiore  di  Verbena  s.  r.l.,  Pao.Mar
s.r.l.., Immobiliare Tuscolana 1976  s.r.l..,  Edilizia  Residenziale
Nomentana s.r.l.., Emma Natili, rappresentati  e  difesi  dagli  avv.
Alessandro Pallottino e Alessandra  Sandulli,  con  domicilio  eletto
presso Alessandro Pallottino in Roma, via Oslavia n.12; 
    Contro  Roma  Capitale,  rappresentato   e   difeso   dall'Andrea
Magnanelli, domiciliata per legge in Roma via Tempio di Giove 21; 
    Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio Roma:  Sezione  II
n. 33208/2010, resa tra le parti,  concernente  esecuzione  giudicato
pagamento somma a titolo indennita' di esproprio; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 maggio  2011  il
Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli  avvocati  Alessandro
Pallottino, Alessandra Sandulli, nonche' l'avv. Luigi D'Ottavi; 
    1. - La societa' cooperativa Consorcasa Regione Lazio e gli altri
soggetti indicati in epigrafe hanno impugnato la sentenza 5  novembre
2010 n. 33208, con la quale il TAR Lazio, sez. II,  ha  accolto  «nei
limiti e nei termini di cui  in  motivazione»  il  loro  ricorso  per
l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza 10 novembre  2008
n. 4565 della Corte di Appello di Roma. 
    Tale  sentenza   ha   determinato   l'indennita'   di   esproprio
(verificatosi molti anni addietro) loro  spettante  nella  misura  di
Euro 20.747.187,18, oltre interessi legali, dalla data del 30  aprile
1996 alla sentenza. 
    Le somme dovute  sono  state  successivamente  determinate  dagli
attuali appellanti, con atto di diffida ad eseguire e messa in  mora,
ex art. 90 RD. n.  642/1907,  in  Euro  20.747.187,18,  a  titolo  di
indennita' di esproprio; Euro 9.087.948,22,  quali  interessi  legali
dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza; Euro 120.852,00 a titolo
di spese legali, liquidate in sentenza, accessori di legge e spese di
CTU. 
    La sentenza appellata ha affermato: 
        a  seguito  dell'entrata  in  vigore  dell'art.  78  d.l.  n.
112/2008, conv. in legge n. 133/2008,  e  del  relativo  d.P.C.M.  di
attuazione 4 luglio 2008, per tutte  le  obbligazioni  contratte  dal
Comune  di  Roma   anteriormente   all'istituzione   della   Gestione
Commissariale (28 aprile 2008), nonche' per  tutte  quelle  contratte
alla data di emanazione del citato DPCM, trovano applicazione  l'art.
248, commi 2,3,4 e 255, comma 12, d.lgs. n. 267/2000, di modo che  e'
impedita «categoricamente la coltivazione  di  azioni  esecutive  nei
confronti  dell'Ente,  per  debiti  che  rientrano  nella  competenza
dell'organo straordinario di liquidazione»,  precisandosi  (ai  sensi
dell'art. 4, comma 8-bis, d.l. n. 2/2010, conv. in legge n. 42/2010),
che «la  gestione  commissariale  del  Comune  assume,  con  bilancio
separato  rispetto  a  quello  della  gestione  ordinaria,  tutte  le
obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data
del 28 aprile 2008 anche  qualora  le  stesse  siano  accertate  e  i
relativi   crediti   siano   liquidati   con   sentenze    pubblicate
successivamente alla medesima data»; 
        atteso la natura «determinativa» della sentenza  della  quale
si chiede l'ottemperanza, «e' all'epoca del fatto o atto che  occorre
avere riguardo  per  verificare  l'assoggettamento  dell'obbligazione
dallo stesso derivante al regime della gestione commissariale,  nella
specie sicuramente posto in essere in epoca anteriore  al  28  aprile
2008»; 
        «l'inadempienza  dell'amministrazione,  tenuto  conto   della
portata che assume nella vicenda de qua la dichiarazione di  dissesto
finanziario  relativamente  al   Comune   di   Roma   nonche'   delle
disposizioni contenute nei DPCM 4  luglio  2008  e  5  dicembre  2008
comporta l'accoglimento del ricorso proposto dalla  parte  ricorrente
nei seguenti termini (e limiti) per cui va ordinato al Comune di Roma
di dare esecuzione alle statuizioni contenute  nella  sentenza  della
Corte di Appello di Roma n. 4565/08 ... provvedendo alla ricognizione
nel bilancio dell'ente della presenza di  somme  disponibili  per  il
pagamento anche di spese legali e/o di crediti  e,  conseguentemente,
ordinandosi il pagamento di quanto dovuto; in caso di esito  negativo
della suindicata indagine, provvedendo  all'inserimento  nella  massa
passiva dell'importo dovuto all'odierna parte ricorrente a titolo  di
capitale, accessori e spese». 
    Avverso tale decisione, sono stati proposti i seguenti motivi  di
appello: 
        a) violazione del giudicato; violazione degli artt. 24 e  113
Cost., nonche' conseguente violazione art. 43 Cost.  e  dell'art.  37
DPR n. 327/2001, in merito al diritto dei proprietari espropriati  ad
ottenere un equo indennizzo per l'ablazione subita;  cio'  in  quanto
«la pronuncia del giudice  di  I  grado,  di  fatto,  ha  inibito  ai
ricorrenti di ottenere il conseguimento  reale,  e  non  soltanto  di
principio, dell'utilita' riconosciutagli dalla sentenza  della  Corte
d'Appello di Roma»; in sostanza, «il TAR ha,  di  fatto,  accolto  il
ricorso  ma,  nella  sostanza,  ha  negato  alle  odierne  appellanti
effettiva soddisfazione in quanto ha stabilito che "la  dichiarazione
di dissesto finanziario (del Comune) non puo' essere ignorata e  cio'
a  prescindere  dalla  natura  della  sentenza  che  costituisce   il
giudicato". In definitiva, il TAR avrebbe dovuto  disporre  realmente
l'ottemperanza del giudicato formatosi sulla  pronuncia  della  Corte
d'Appello di Roma, ordinando al  Comune  di  Roma  di  pagare  quanto
indicato in detta pronuncia o mediante il bilancio  ordinario  o,  al
limite, anche mediante il bilancio straordinario, ma  in  entrambi  i
casi e non solo nel primo, o, entro un lasso di tempo ben determinato
e disponendo, sempre per entrambi i casi, la nomina di un commissario
ad acta in caso di persistente inadempienza»; 
        b) violazione art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in  merito
allo svincolo delle indennita' provvisorie; violazione del giudicato;
poiche' «la novella legislativa del 2010 non avrebbe potuto  in  ogni
caso essere applicata almeno con riferimento a quella parte di  somme
a suo tempo determinata e certamente depositata dal  Comune  di  Roma
come indennita'  provvisoria  attualmente  giacente  presso  il  MEF»
(precisamente Euro 657,905,00, «i quali essendo gia' da tempo  usciti
dalle casse del Comune costituiscono un debito gia' assolto (anche se
antecedente al 28 aprile 2008). Al contrario il  TAR  "non  ha  posto
alcuna differenza tra le somme  gia'  versate  dal  Comune  e  quelle
ancora  da  versare  a  seguito   della   determinazione   giudiziale
dell'indennita'", ordinando per entrambe la ricognizione nel bilancio
ordinario e, in caso di esito  negativo,  ha  ordinato  l'inserimento
nella massa passiva»; 
        c) ulteriore violazione art. 112 c.p.c. per omessa  pronuncia
in merito al pagamento delle spese  legali  indicate  nella  sentenza
della Corte d'Appello n. 4565/2008; violazione del giudicato; cio' in
quanto il TAR ha omesso di pronunciarsi, laddove, stante la  condanna
al pagamento  delle  spese  di  giudizio,  «il  diritto  riconosciuto
dall'art. 91 c.p.c. sorge incontestabilmente con la  sentenza  e  non
prima, per cui nel caso di specie  trattasi  di  un'obbligazione  che
certamente  non  deriva  da  atti  o  fatti  posti  in  essere  prima
dell'aprile 2008». 
    Dopo avere innanzi tutto richiesto che questo Consiglio di Stato,
in   accoglimento   dell'appello,    disponga    concretamente    per
l'ottemperanza del Comune  di  Roma  alla  sentenza  della  Corte  di
appello n. 4565/2008, imponendo al Comune di pagare entro un  termine
prefissato e provvedendo da subito alla nomina di un  Commissario  ad
acta, per il caso di perdurante inadempimento,  gli  appellanti,  per
l'ipotesi i cui si ritenesse applicabile al caso di specie l'art.  78
d.l. n. 112/2008, come modificato  e  integrato  dall'art.  4,  comma
8-bis, legge n. 42/2010, chiedono che di tali  norme  venga  valutata
«l'esatta  portata  in  una  chiave  di  lettura   costituzionalmente
orientata e,  in  ulteriore  subordine,  di  sollevare  questione  di
illegittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 41,
100, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 Cost.» (pagg. 20 - 47 appello). 
    Si e' costituita in giudizio Roma Capitale (gia' Comune di Roma),
che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' dell'appello
«considerato  il  venir  meno  della  titolarita'  di  una  posizione
debitoria di Roma Capitale con riferimento  al  credito  per  cui  si
procede» e atteso che  «la  Gestione  Commissariale  e'  un  autonomo
organo  governativo   subentrato   alla   ordinaria   amministrazione
finanziaria del Comune di Roma»; viene, in ogni caso, conclusivamente
richiesto il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza. 
    All'udienza del 31 maggio 2011, la causa e'  stata  riservata  in
decisione. 
    2. - Con sentenza 10 agosto 2011 n.  4772,  questo  Consiglio  di
Stato, parzialmente pronunciando sull'appello proposto, ha  affermato
innanzi tutto, sulla scorta dei principi  gia'  enunciati  da  questa
Sezione con la sentenza n. 8363/2010, che, in sede  di  ottemperanza,
ed a fronte di una disciplina normativa che richiama - applicandola a
Roma capitale - quella applicabile agli enti  locali  dissestati,  il
giudice (in  disparte,  momentaneamente,  ogni  questione  che  possa
intendere  sollevare  sulla  supposta  illegittimita'  costituzionale
delle norme): 
        deve innanzi tutto accertare il momento di  insorgenza  della
obbligazione, in modo da attribuire, in  presenza  di  un  discrimine
temporale,  la  qualifica  di  debitore  all'ente  o  alla   gestione
commissariale; 
        qualora questa rientri nella gestione commissariale, non puo'
emettere pronuncia che obblighi la gestione  commissariale,  o  tanto
meno l'ente locale, ad eseguire la sentenza ne' puo', di conseguenza,
procedere alla nomina di un commissario ad acta; 
        qualora l'obbligazione risulti  certa  nell'an,  ma  non  nel
quantum, poiche' la  sentenza  per  la  quale  si  richiede  disporre
l'ottemperanza si e' limitata a fissare criteri generali (ad esempio,
ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 80/1998, ovvero  ai  sensi  dell'art.
34, comma 4, Cpa), il giudice dell'ottemperanza puo' procedere, anche
a mezzo di commissario ad acta,  a  definire  il  quantum,  ordinando
quindi all'amministrazione di segnalare alla  gestione  straordinaria
l'esistenza e l'importo del credito cosi' come determinato; 
        qualora, al contrario, l'obbligazione sia a carico  dell'ente
Comune e sia insorta in data successiva a quella prima della quale  i
crediti  vantati  ricadono  nella  gestione  commissariale,   procede
nell'ordinario  giudizio  di  ottemperanza,  assumendo  la  pronuncia
adeguata, nel caso di specie, a soddisfare la parte  nelle  posizioni
insorte in virtu' del giudicato. 
    Nel caso di specie, la sentenza della Corte di Appello di Roma ha
determinato  l'indennita'  di  esproprio   spettante   agli   attuali
appellanti  nella  misura  di  Euro  20.747.187,18,  oltre  interessi
legali, dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza. 
    Non ricorre,  quindi,  nel  caso  di  specie,  l'ipotesi  di  una
sentenza con la quale il giudice amministrativo  si  sia  limitato  a
dare i criteri per definire successivamente la somma dovuta a  titolo
di risarcimento del danno. Al contrario, ricorre la  diversa  ipotesi
di  una  sentenza  di   condanna   della   pubblica   amministrazione
pronunciata  dal  giudice  ordinario,  al  pagamento  di  una   somma
determinata e, quanto agli interessi, perfettamente determinabile. 
    A fronte di cio', il primo giudice avrebbe dovuto procedere  come
sopra indicato, non potendosi viceversa condividere le considerazioni
svolte nella sentenza appellata  e  sulla  base  delle  quali  si  e'
pervenuti ad  accogliere  il  ricorso,  ma  imponendo  alla  pubblica
amministrazione solamente un obbligo di fare non satisfattorio  della
posizione  giuridica  della  parte   vittoriosa   nel   giudizio   di
cognizione. Per tali ragioni, questo Consiglio di  Stato  ha  accolto
l'appello in relazione al primo motivo (sub  a),  con  il  quale,  in
sintesi, si lamenta che la sentenza appellata ha «di fatto inibito ai
ricorrenti di ottenere il conseguimento  reale,  e  non  soltanto  di
principio, dell'utilita' riconosciutagli dalla sentenza  della  Corte
di appello di Roma n. 4565/2008». 
    L'accoglimento del motivo di appello come ora richiamato comporta
che questo Collegio, in relazione ai motivi di appello proposti  (sub
a/c dell'esposizione in fatto), ha dovuto verificare, alla  luce  dei
principi  sopra  esposti,  la  natura  dei  crediti   vantati   dagli
appellanti per effetto della sentenza della Corte di Appello di  Roma
n. 4565/2008 citata, onde poter verificare raccoglibilita'  (o  meno)
del ricorso per l'ottemperanza proposto in primo grado. 
    3. - La sentenza n. 4772/2011 di questo  Consiglio  di  Stato  ha
proceduto, quindi, ad esaminare partitamente  i  singoli  diritti  di
credito di cui alla sentenza della Corte di appello di  Roma,  ed  ha
dunque riconosciuto, in accoglimento del secondo e del  terzo  motivo
proposti: 
        a) il diritto ad ottenere (previo svincolo delle medesime) le
somme relative ad indennita' provvisoria (quantificate in complessivi
Euro 657,905,00 «giacenti presso il MEF»  (Ministero  dell'economa  e
delle finanze), poiche', come sostenuto dagli appellanti, «la novella
legislativa del 2010 non avrebbe potuto in ogni caso essere applicata
almeno  con  riferimento  a  quella  parte  di  somme  a  suo   tempo
determinata  e  certamente  depositata  dal  Comune  di   Roma   come
indennita' provvisoria attualmente giacente presso il  MEF»,  poiche'
tali somme «essendo gia' da  tempo  uscite  dalle  casse  del  Comune
costituiscono un debito gia' assolto» (anche  se  antecedente  al  28
aprile 2008). Cio' in quanto il collegio ha ritenuto che «fatta salva
i  ogni  diversa  e  successiva  determinazione  dell'indennita'   di
espropriazione,  il   deposito   dell'indennita'   provvisoria   (non
accettata) presso la Cassa depositi e prestiti costituisce condizione
perche' possa essere emanato il decreto di esproprio, e quindi  possa
determinarsi il sacrificio del diritto di  proprieta',  nel  rispetto
delle condizioni (tra le quali il pagamento dell'indennizzo) previste
dall'art. 42 Cost.», di modo che «per  il  tramite  del  deposito  e,
quindi,  della  perdita  di  disponibilita'  della  somma  da   parte
dell'espropriante e sua offerta o, comunque, deposito in  favore  del
proprietario, che, medio tempore, ha perso le facolta'  di  godimento
(nel  caso  di  occupazione  di  urgenza)  o  lo  stesso  diritto  di
proprieta'  (nel  caso  di  intervenuto  decreto  di  esproprio),  il
soggetto espropriante puo' conseguire la piena proprieta' del bene.».
Da cio' consegue che «le somme depositate presso la Cassa depositi  e
prestiti possono essere considerate fuoriuscite  dal  patrimonio  del
soggetto depositante  ed  ormai  nella  astratta  disponibilita'  del
soggetto espropriando (o espropriato), il quale potra'  materialmente
ottenerle, al verificarsi delle condizioni di legge, posto che il suo
diritto alla percezione (almeno) delle somme depositate sorge con  la
determinazione stessa dell'indennita' provvisoria.». In  conclusione,
«stante la particolarita' del procedimento espropriativo e la  natura
(e causale)  delle  somme  depositate  presso  la  Cassa  depositi  e
prestiti, verificandosi le condizioni di  legge  (come  nel  caso  di
specie), il destinatario delle  medesime  (in  favore  del  quale  il
deposito  e'  stato  disposto),  ben  puo'  ottenerne  lo   svincolo,
apprendendo   materialmente   una   somma   che   costituisce,   come
condivisibilmente  afferma  l'appellante,  debito  gia'  assolto  dal
Comune di Roma, e quindi (ancorche' il diritto di credito  sia  sorto
prima del 28 aprile 2008), estraneo alla  tematica  del  riparto  tra
comune e gestione commissariale in relazione alla data predetta.»; 
        b) il diritto ad ottenere le somme riconosciute a  titolo  di
spese legali (ed al cui pagamento e' stato condannato  il  Comune  di
Roma) dalla sentenza della Corte d'Appello n. 4565/2008, poiche',  ai
sensi dell'art. 91 c.p.c., secondo  il  quale  «il  giudice,  con  la
sentenza che chiude il processo  davanti  a  lui  condanna  la  parte
soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra  parte  e  ne
liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa», il diritto  a
percepire sia le  spese  sia  gli  onorari  di  difesa  liquidati  in
sentenza sorge con il deposito della sentenza medesima.  Ne  consegue
che, poiche' la sentenza della Corte di appello risulta depositata in
data 10 novembre 2008, il diritto di credito in esame  e'  sorto  ben
dopo la data del 28 aprile 2008 (di cui all'art. 78 d.l. n. 128/2008)
e, quindi, ricorre  pacificamente  la  posizione  debitoria  di  Roma
Capitale, senza che possa essere invocata la  impromovibilita'  o  la
improcedibilita' procedibilita' delle procedure esecutive. 
    4.  -  Il  Collegio  non  e'  invece  pervenuto   alle   medesime
conclusioni  (condanna  di  Roma  Capitale   all'ottemperanza),   con
riferimento a quanto liquidato dalla Corte di Appello di  Roma  (Euro
20.747.187,18) a titolo di indennita' di esproprio,  oltre  interessi
legali dalla data del 30 aprile 1996 alla sentenza. 
    Secondo la sentenza n.4772/2011,  «in  questo  caso,  appare  del
tutto evidente  che  il  diritto  di  credito  (e  la  corrispondente
obbligazione di Roma Capitale) e' sorto ben prima del 28 aprile 2008,
assumendo - a fronte di cio'  -  la  sentenza  esclusivamente  valore
accertativo della sussistenza ed entita' del dritto di credito  (gia'
esistente),  con   conseguente   condanna   dell'amministrazione   al
pagamento della somma accertata. Il diritto a ricevere gli interessi,
in  quanto  obbligazione  accessoria,  segue  quanto   statuito   per
l'obbligazione principale.» 
    Secondo la sentenza, «ricorre, dunque, in questo caso,  l'ipotesi
prevista dall'art. 78 d.l. n. 128/2008 e dall'art.  4,  comma  8-bis,
d.l. n. 2/2010, e quindi, in applicazione dei medesimi,  il  Collegio
dovrebbe ritenere la impromovibilita' del giudizio  di  ottemperanza,
essendo, peraltro, il debito attribuito alla gestione straordinaria. 
    Il Collegio ritiene, tuttavia, che occorre rimettere  alla  Corte
costituzionale, stante la sua rilevanza ai fini della decisione e  la
sua  non  manifesta  infondatezza,   la   questione   relativa   alla
legittimita' costituzionale dell' articolo 78 d.l. 25 giugno 2008  n.
112, conv. in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'art. 4, comma 8-bis,
d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, per le
ragioni meglio esplicitate con separata ordinanza. 
    Proprio perche', anche per questo aspetto, la decisione  riguarda
la posizione di debitore  di  Roma  Capitale  (che  verrebbe  esclusa
dall'applicazione delle disposizioni sopra indicate ed  in  relazione
alle quali si solleva la questione di  legittimita'  costituzionale),
il Collegio ritiene infondata, anche in ordine a questo profilo della
domanda,  la  proposta  eccezione  di   carenza   di   legittimazione
passiva.». 
    5. - Ai fini della verifica della rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale ai  fini  della  decisione  del  presente
giudizio e della sua non  manifesta  infondatezza,  appare  opportuno
richiamare le norme che trovano applicazione nel caso in esame. 
    L'art. 78 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge
6 agosto  2008,  n.  133,  recante  «disposizioni  urgenti  per  Roma
Capitale», prevede tra l'altro: 
        «1. Al fine di assicurare il raggiungimento  degli  obiettivi
strutturali di risanamento della finanza pubblica e nel rispetto  dei
principi indicati dall'articolo 119 della  Costituzione,  nelle  more
dell'approvazione della legge di disciplina  dell'ordinamento,  anche
contabile, di Roma Capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo  comma,
della Costituzione, con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri, il Sindaco del comune di Roma,  senza  oneri  aggiuntivi  a
carico dello Stato, e' nominato Commissario straordinario del Governo
per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune
e delle societa'  da  esso  partecipate,  con  esclusione  di  quelle
quotate nei  mercati  regolamentati,  e  per  la  predisposizione  ed
attuazione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso. 
    2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri: 
        a) sono individuati gli istituti e gli strumenti disciplinati
dal Titolo VIII del testo unico di  cui  al  decreto  legislativo  18
agosto  2000,  n.  267,  di  cui  puo'   avvalersi   il   Commissario
straordinario, parificato a  tal  fine  all'organo  straordinario  di
liquidazione, fermo restando quanto previsto al comma 6; 
        b) su proposta del Commissario straordinario,  sono  nominati
tre subcommissari,  ai  quali  possono  essere  conferite  specifiche
deleghe dal Commissario (...). 
    3. La gestione commissariale  del  comune  assume,  con  bilancio
separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate
di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile
2008.  Le  disposizioni  dei  commi  precedenti  non  incidono  sulle
competenze  ordinarie  degli  organi  comunali   relativamente   alla
gestione del periodo successivo alla data del 28  aprile  2008.  Alla
gestione ordinaria si applica quanto previsto  dall'articolo  77-bis,
comma 17. Il concorso  agli  obiettivi  per  gli  anni  2009  e  2010
stabiliti per il comune di Roma ai sensi del citato  articolo  77-bis
e' a carico del piano di rientro. 
    4. Il piano di rientro, con la  situazione  economico-finanziaria
del comune e delle societa' da esso partecipate di cui  al  comma  1,
gestito con separato bilancio, entro il  30  settembre  2008,  ovvero
entro altro termine indicato nei decreti del Presidente del Consiglio
dei Ministri di cui ai commi 1 e 2,  e'  presentato  dal  Commissario
straordinario al Governo, che l'approva  entro  i  successivi  trenta
giorni, con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
individuando le coperture  finanziarie  necessarie  per  la  relativa
attuazione  nei  limiti  delle  risorse  allo   scopo   destinate   a
legislazione vigente.  E'  autorizzata  l'apertura  di  una  apposita
contabilita' speciale. Al fine di consentire il  perseguimento  delle
finalita' indicate al comma 1, il piano assorbe, anche  in  deroga  a
disposizioni di legge,  tutte  le  somme  derivanti  da  obbligazioni
contratte, a qualsiasi titolo, alla data di  entrata  in  vigore  del
presente decreto, anche non  scadute,  e  contiene  misure  idonee  a
garantire  il  sollecito  rientro  dall'indebitamento  pregresso.  Il
Commissario straordinario potra' recedere, entro lo stesso termine di
presentazione del piano,  dalle  obbligazioni  contratte  dal  Comune
anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
    5. Per  l'intera  durata  del  regime  commissariale  di  cui  al
presente articolo non puo' procedersi alla deliberazione di  dissesto
di cui all'articolo 246, comma 1, del decreto legislativo  18  agosto
2000, n. 267. 
    6. I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui  ai
commi 1 e 2 prevedono in  ogni  caso  l'applicazione,  per  tutte  le
obbligazioni contratte anteriormente  alla  data  di  emanazione  del
medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei commi
2, 3 e 4 dell'articolo 248 e  del  comma  12  dell'articolo  255  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267.  Tutte  le  entrate  del
comune di competenza  dell'anno  2008  e  dei  successivi  anni  sono
attribuite alla gestione corrente  di  Roma  Capitale,  ivi  comprese
quelle riferibili ad atti e fatti antecedenti all'anno 2008,  purche'
accertate successivamente al 31 dicembre 2007...» 
    I commi 2, 3 e 4 dell'art. 248 d.lgs. n.  267/2000  (Testo  Unico
enti  locali),  espressamente  richiamati  dal  precedente  comma   6
dell'art. 78, prevedono: 
        «2.  Dalla  data  della  dichiarazione  di  dissesto  e  sino
all'approvazione del rendiconto  di  cui  all'art.  256  non  possono
essere  intraprese  o  proseguite  azioni  esecutive  nei   confronti
dell'ente per i debiti che  rientrano  nella  competenza  dell'organo
straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive  pendenti  alla
data della dichiarazione di dissesto,  nelle  quali  sono  scaduti  i
termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'ente, o la  stessa
benche'  proposta  e'  stata  rigettata,  sono   dichiarate   estinte
d'ufficio  dal  giudice   con   inserimento   nella   massa   passiva
dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. 
    3. I pignoramenti eventualmente eseguiti  dopo  la  deliberazione
dello stato di dissesto non vincolano l'ente ed il tesoriere, i quali
possono disporre delle somme per i fini dell'ente e le  finalita'  di
legge. 
    4.  Dalla  data  della   deliberazione   di   dissesto   e   sino
all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 i debiti insoluti
a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa gia' erogate
non producono  piu'  interessi  ne'  sono  soggetti  a  rivalutazione
monetaria. Uguale disciplina si  applica  ai  crediti  nei  confronti
dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di
liquidazione  a  decorrere  dal  momento  della  loro  liquidita'  ed
esigibilita'.». 
    Il comma 12 dell'art. 255 del Testo unico enti locali,  anch'esso
espressamente indicato dal comma 6 dell'art. 78, prevede: 
        «12. Nei confronti della massa attiva  determinata  ai  sensi
del  presente  articolo  non  sono  ammessi  sequestri  o   procedure
esecutive.  Le  procedure  esecutive  eventualmente  intraprese   non
determinano vincoli sulle somme.». 
    Infine, l'art. 4, comma 8-bis d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in
legge 26 marzo 2010 n. 42, prevede tra l'altro: 
        «8-bis.  Con  decreto  del  Presidente  del   Consiglio   dei
Ministri, da emanare entro trenta giorni dalla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto,  e'  nominato
un Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di
rientro di cui all'articolo 78  del  decreto-legge  25  giugno  2008,
n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto  2008,  n.
133, e successive modificazioni,  gestito  con  separato  bilancio  e
approvato con decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  5
dicembre 2008. A partire dalla data di nomina del nuovo  Commissario,
il sindaco del comune di Roma cessa  dalle  funzioni  di  Commissario
straordinario del Governo per  la  gestione  dello  stesso  piano  di
rientro.  Il  Commissario  straordinario  del  Governo  procede  alla
definitiva ricognizione della massa  attiva  e  della  massa  passiva
rientranti nel predetto piano di rientro... Ai fini di  una  corretta
imputazione al piano di rientro, con riguardo  ai  commi  2,  3  e  4
dell'articolo 248 e al comma 12 dell'articolo 255  del  citato  testo
unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il primo periodo
del comma 3 dell'articolo 78  del  decreto-legge  n.  112  del  2008,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.133  del  2008,  si
interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume,
con bilancio separato rispetto a  quello  della  gestione  ordinaria,
tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere  fino
alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate
e  i  relativi  crediti  siano  liquidati  con  sentenze   pubblicate
successivamente alla medesima data.». 
    6. Dall'esame delle disposizioni applicabili al caso  di  specie,
appare evidente la rilevanza della questione. 
    L'art.  78  comma  6,  primo  periodo,  prevede   che,   per   le
obbligazioni rientranti nella gestione commissariale, individuate  ai
sensi del precedente comma 3, primo  periodo  e  dell'art.  4,  comma
8-bis, sia applicabile l'art. 248 d.lgs. 18 agosto 2000  n.  267,  il
quale, a sua volta, prevede  tra  l'altro  che  «non  possono  essere
intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente  per
i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario  di
liquidazione» (comma 2). 
    Per effetto di  tali  disposizioni,  gli  appellanti,  che  hanno
ottenuto dalla Corte di appello di Roma  (con  sentenza  10  novembre
2008 n. 4765,  passata  in  giudicato)  il  riconoscimento  del  loro
diritto a percepire (e la correlativa condanna del Comune di  Roma  a
pagare), l'indennita' loro dovuta per un espropriazione nella  misura
di Euro 20.747.187,18, oltre interessi  legali,  dalla  data  del  30
aprile 1996 alla sentenza, vedono ora - nonostante l'attivazione  del
giudizio  di  ottemperanza  innanzi  al  giudice   amministrativo   -
paralizzato  l'esercizio  del  loro  diritto  di   credito   (nonche'
l'improduttivita' di ulteriori interessi delle  somme  loro  dovute),
per effetto dell'articolo 78 d.l. 25 giugno 2008  n.  112,  conv.  in
legge 6 agosto 2008 n. 133, e  dell'art.  4,  comma  8-bis,  d.l.  25
gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42. 
    In applicazione di tali disposizioni, questo Consiglio di  Stato,
trattandosi a tutta evidenza di obbligazione derivante  da  «fatti  o
atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008», ancorche' la
stessa sia stata accertata con  sentenza  pubblicata  successivamente
alla  medesima  data  -  cosi'   come   dispone   espressamente   (in
interpretazione autentica del primo periodo del comma 3 dell'articolo
78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n.133 del 2008), l'art. 4, comma 8-bis  d.l.  25  gennaio
2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42 - non puo' disporre per
l'ottemperanza della Pubblica Amministrazione,  anzi  deve  procedere
alla declaratoria di improcedibilita' del ricorso, ai sensi dell'art.
248, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, in  quanto  dichiarato  applicabile
dal citato art. 78 del decreto-legge n. 112  del  2008,  nei  modi  e
termini esplicitati da tale articolo  e  dal  citato  art.  4,  comma
8-bis, del decreto legge n. 2 del 2010. 
    Il  Collegio  ritiene,  dunque,  evidente  la   rilevanza   della
questione, poiche' - come lamentano gli appellanti - «le disposizioni
che si censurano ... comportano,  ove  applicate,  il  mancato  reale
conseguimento dell'utilita' riconosciuta agli  appellanti  a  seguito
della sentenza della Corte di Appello n. 4565/2008». Ne',  stante  il
tenore delle due disposizioni evocate, sussiste  alcuna  possibilita'
di diversa interpretazione, tale da escludere il caso in esame  dalla
loro applicazione e, quindi, procedere nel giudizio  di  ottemperanza
instaurato, fino alla sua decisione nel merito. 
    7.  Attesa  la  rilevanza,  questo  Consiglio  di  Stato  ritiene
altresi' non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell' articolo 78 (comma 6, primo periodo, nella parte
in cui richiama l'art. 248 d.lgs. n. 18  agosto  2000  n.  267,  onde
renderne applicabili le norme alle obbligazioni di cui al  precedente
comma 3, primo periodo) d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge  6
agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 8-bis,  ultimo  periodo,
di. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo  2010  n.  42,  nei
sensi di seguito esposti. 
    E cio' indipendentemente dalla natura  innovativa  con  efficacia
retroattiva   (come   sostenuto   dagli   appellanti)    ovvero    di
interpretazione autentica, del citato art. 4, comma 8-bis, posto che,
come ha affermato la Corte costituzionale (sent.  4  agosto  2003  n.
291) «il problema da affrontare riguarda non tanto  la  natura  della
legge, quanto piuttosto i  limiti  che  la  sua  portata  retroattiva
incontra, alla luce del principio di ragionevolezza»,  posto  che  il
legislatore, fermo il divieto dell'art. 25  per  la  materia  penale,
«nel rispetto di tale previsione, puo' emanare  norme  con  efficacia
retroattiva - interpretative o innovative  che  siano  -  purche'  la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul   piano   della
ragionevolezza  e  non  contrasti  con  altri  valori  ed   interessi
costituzionalmente protetti.». 
    La Corte costituzionale (sent. 3 marzo  1988  n.  233),  ha  gia'
affermato che «sebbene la legge impugnata  si  autoqualifichi  e  sia
formulata come una legge interpretativa, cio' non esime questa  Corte
dal verificare, ai fini del giudizio di legittimita'  costituzionale,
se la qualificazione e la formulazione siano realmente rispondenti al
contenuto dispositivo della legge medesima».  Ha  altresi'  precisato
che la qualificazione di legge interpretativa spetta «a quelle  leggi
o a quelle disposizioni  che,  riferendosi  e  saldandosi  con  altre
disposizioni (quelle interpretate), intervengono  esclusivamente  sul
significato normativo di queste ultime (senza, percio', intaccarne  o
integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone  il  senso
(ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone  uno  dei
sensi  ritenuti  possibili,  al  fine,  in  ogni  caso,  di   imporre
all'interprete   un   determinato   significato    normativa    della
disposizione interpretata», escludendo al contempo che tale qualifica
ricorra allorche' il  legislatore  «anziche'  desumere,  enucleare  o
escludere un  qualche  significato  gia'  insito  nella  disposizione
"interpretata" - interviene sul testo  legislativo,  aggiungendo  una
diversa disposizione». 
    Nello stesso senso, con la sentenza 4  aprile  1990  n.  155,  la
Corte costituzionale ha  affermato  che  "va  riconosciuto  carattere
interpretativo soltanto ad una legge che, fermo  il  tenore  testuale
della norma  interpretata,  ne  chiarisce  il  significato  normativo
ovvero privilegia una tra  le  tante  interpretazioni  possibili,  di
guisa che il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle
due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il
significato), le quali rimangono entrambe in  vigore  e  sono  quindi
anche idonee ad essere modificate separatamente.». 
    E' stato altresi' precisato (sentenza n. 291/2003 cit.) che: 
    «A proposito delle cd. leggi di interpretazione autentica, questa
Corte ha piu' volte affermato che il legislatore puo' porre norme che
retroattivamente   precisino   il   significato   di   altre    norme
preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di  senso
del testo originario, purche' compatibile con il tenore letterale  di
esso (sentenze n. 421 del 1995; n. 376 del 1995; n. 15 del  1995;  n.
397 del 1994). Ed ha precisato  che  in  tali  casi  il  problema  da
affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto
i limiti che la sua  portata  retroattiva  incontra,  alla  luce  del
principio di ragionevolezza (sentenze n. 229 del  1999;  n.  525  del
2000). Infatti  il  divieto  di  retroattivita'  della  legge  -  pur
costituendo fondamentale valore di  civilta'  giuridica  e  principio
generale dell'ordinamento,  cui  il  legislatore  ordinario  deve  di
regola attenersi - non e' stato elevato  a  dignita'  costituzionale,
salva, per la  materia  penale,  la  previsione  dell'art.  25  della
Costituzione;  e  quindi  il  legislatore,  nel  rispetto   di   tale
previsione,   puo'   emanare   norme   con   efficacia    retroattiva
interpretative o innovative che siano  -  purche'  la  retroattivita'
trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza  e  non
contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti». 
    In  particolare,  questo   Consiglio   di   Stato   ritiene   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
delle disposizioni sopra indicate per violazione  degli  articoli  3,
97, primo comma, 114, 118 e 119 Cost., poiche', nel prevedere che «la
gestione commissariale  del  comune  assume,  con  bilancio  separato
rispetto a quello della gestione  ordinaria,  tutte  le  obbligazioni
derivanti da fatti o atti posti in  essere  fino  alla  data  del  28
aprile 2008, anche qualora le stesse siano  accertate  e  i  relativi
crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente  alla
medesima data.», dette norme impediscono una puntuale e temporalmente
definita ricognizione dello stato debitorio propriamente  inteso,  da
assegnare alla gestione commissariale. 
    Infatti, la norma,  lungi  dall'introdurre  un  criterio  per  la
definizione della massa debitoria,  agisce  esclusivamente  ex  post,
ascrivendo alla gestione commissariale  obbligazioni  sorte  ante  28
aprile,  ma  nel  momento  in  cui  sopravviene  l'accertamento   con
sentenza. 
    Si tratta, dunque,  non  gia'  di  un  criterio  di  ricognizione
attuale del debito, bensi' di un criterio successivo  di  imputazione
del medesimo (attuato peraltro in deroga alla disciplina generale del
dissesto di cui al d.lgs. n. 267/2000,  ed  in  particolare  all'art.
254), con cio' violando il principio  di  ragionevolezza  desumibile,
per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale,  dall'art.
3 Cost., nonche' il principio di buon  andamento  amministrativo,  ex
art. 97, comma primo, Cost., nella misura  in  cui  non  consente  di
avere certezza del presupposto (l'indebitamento) che  ha  determinato
l'introduzione della disciplina eccezionale e, quindi, la deroga alla
disciplina ordinaria degli enti locali. 
    Ne' si e' provveduto,  in  concreto,  alla  pubblicazione  di  un
avviso pubblico ai fini dell'insinuazione del credito (ancorche'  sub
iudice), nella massa passiva e, quindi, ai fini di  una  ricognizione
delle posizioni debitorie, come previsto in caso di dichiarazione  di
dissesto dall'art. 254 d.lgs. n. 267/2000. 
    Il   descritto   stato   di   incertezza   si   riflette    sulla
indeterminatezza temporale della  gestione  commissariale,  con  cio'
evidenziando un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma, in
quanto  introduce  una  non  giustificabile  deroga  e   compressione
(temporalmente non definite)  all'autonomia  dell'ente  locale,  come
precisata e garantita dagli artt. 114, 118 e 119 Cost. 
    Non  e',  altresi',  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni   indicate   per
violazione degli artt. 2, 3, 24, 101, 102, 103, 104, 113, 117,  comma
1, (in relazione all'art. 6, comma 1 ed all'art. 13 della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n.  848),  della
Costituzione. 
    Ed  infatti,  tali  disposizioni,  ricomprendendo  i  diritti  di
credito derivanti da accertamento ottenuto in  sede  giurisdizionale,
ma riferiti a fatti o atti anteriori al 28 aprile  2008,  tra  quelli
per i quali non e' possibile  esperire  procedure  esecutive,  incide
retroattivamente,   senza   alcuna   ragionevolezza,    su    diritti
riconosciuti dall'autorita' giurisdizionale con sentenza  passata  in
giudicato anteriormente all'entrata in vigore del d.l. n. 2/2010 (nel
caso di specie, derivanti dalla sentenza della Corte di appello). 
    Giova ricordare che la Corte costituzionale  (sent.  n.  155/1990
cit), ha affermato (con riferimento ad una legge interpretativa)  che
la stessa «non viola di per se' gli artt. 101, 102 e 104 Cost., ... a
meno che essa  non  leda  il  giudicato  gia'  formatosi  o  non  sia
intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso.». 
    Ne' tale conclusione  e'  negata  dal  fatto  che  con  la  norma
indicata non si attua un disconoscimento del diritto,  accertato  dal
giudice, ne' una incisione sui suo contenuto, posto che  comunque  si
agisce  sulla  effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  e,  piu'
specificamente sul  diritto  alla  tutela  giurisdizionale  (in  sede
esecutiva). 
    Di  qui  la  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita'  costituzionale  delle   disposizioni   in   esame   per
violazione dell'art.  3  Cost.,  relativamente  alla  loro  manifesta
irragionevolezza,  in  relazione  al  principio  di  eguaglianza  dei
cittadini innanzi alla legge, nonche' per violazione degli  artt.  2,
24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto inviolabile alla  tutela
giurisdizionale, intesa come  effettivita'  della  medesima  e,  piu'
specificamente, come diritto alla tutela giurisdizionale in  sede  di
esecuzione, diritto che risulta frustrato dalle disposizione  rimesse
al vaglio della Corte. 
    Inoltre, sussiste la non manifesta infondatezza  della  questione
di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, comma 1,
Cost,  posto  che  l'art.  6,  comma  1  della  Convenzione  per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848),  prevede  che  «ogni
persona ha diritto ad un'equa e pubblica  udienza  entro  un  termine
ragionevole,  davanti  a   un   tribunale   indipendente   imparziale
costituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e
dei suoi doveri di carattere civile ...»; cosi'  come  il  successivo
art. 13 (disciplinante il «diritto ad un ricorso effettivo»)  prevede
il diritto  di  ogni  persona  «i  cui  diritti  e  le  cui  liberta'
riconosciuti nella presente convenzioni sono stati violati»  a  poter
esperire «un  ricorso  effettivo  davanti  a  un'istanza  nazionale».
Entrambe le norme citate (ed i principi da esse desumibili) che pure,
ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost. (il quale impone all'esercizio
della potesta'  legislativa  i  «vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e  dagli  obblighi  internazionali»),  avrebbero  dovuto
essere tenute presenti  dal  legislatore,  risultano  dunque  violate
dalle disposizioni in esame, posto che esse, mediante  la  richiamata
applicabilita' dell'art. 248, comma 2, d.lgs. n. 267/2000, negano  la
possibilita' di  intraprendere  o  proseguite  azioni  esecutive  nei
confronti dell'ente per  i  debiti  che  rientrano  nella  competenza
dell'organo straordinario di liquidazione. 
    Questo Consiglio di Stato ritiene, altresi',  non  manifestamente
infondata  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   delle
disposizioni indicate, per violazione degli artt.  101,  102,  104  e
108,  comma  secondo,  Cost.,  in  riferimento  alla   autonomia   ed
indipendenza del giudice,  compressa  ex  post  da  un  irragionevole
intervento  del  legislatore  operante   sulla   effettivita'   della
pronuncia   giurisdizionale.   Occorre   ricordare   che   la   Corte
costituzionale, con sentenza 7 novembre 2007  n.  364,  nel  ritenere
costituzionalmente illegittimo l'art. 7-quater d.l. 31  gennaio  2005
n. 7 (nella parte in cui aveva stabilito l'inefficacia nei  confronti
di un ente per legge succeduto ad  un  altro  -  anche  nei  rapporti
pendenti, con istituzione di una gestione commissariale per i  debiti
del secondo - dei decreti ingiuntivi  e  delle  sentenze  emesse  nei
confronti  del  primo  ente  per  debiti  relativi   al   secondo   e
l'estinzione di ufficio dei giudizi di ottemperanza pendenti in  base
al  medesimo  titolo),  ha  affermato  che  tali  norme  «violano  le
attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria cui spetta  la
tutela dei diritti (artt. 102 e 113 Cost.). Infatti non vi e'  dubbio
che l'emissione di provvedimenti idonei ad  acquistare  autorita'  di
giudicato  costituisca  uno   dei   principali   strumenti   per   la
realizzazione del suindicato compito. Nel contempo,  le  disposizioni
denunciate contrastano con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto in parte
vanificano i risultati dell'attivita'. difensiva  svolta,  sulla  cui
definitivita' i creditori ... potevano fare ragionevole  affidamento.
In simile ordine di idee questa Corte ha affermato, da un  lato,  che
l'estinzione   dei   giudizi   pendenti    puo'    essere    ritenuta
costituzionalmente legittima qualora le  norme  che  la  stabiliscono
incidano anche sulla  legge  regolatrice  del  rapporto  controverso,
garantendo  la  sostanziale  realizzazione  dei  diritti  in  oggetto
(sentenza n. 103 del 1995), dall'altro, che in materia non penale  la
legittimita' di leggi retroattive e'  condizionata  dal  rispetto  di
altri principi costituzionali e,  in  particolare,  di  quello  della
tutela del ragionevole, e quindi legittimo, affidamento (ex plurimis,
sentenze n. 446 del 2002 e n. 234 del 2007). Anche se le disposizioni
in  scrutinio  non  possono  essere  definite  retroattive  in  senso
tecnico, tuttavia  esse,  travolgendo  provvedimenti  giurisdizionali
definitivi  e  incidendo  sui  regolamenti  dei  rapporti   in   essi
consacrati,  finiscono  per  avere  la  stessa  efficacia  di   nonne
retroattive e per incontrare i  medesimi  limiti  costituzionali  per
queste enunciati». 
    8. Oltre  quanto  sin  qui  evidenziato,  non  e'  manifestamente
infondata a questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 78
(comma 6, primo periodo, nella  parte  in  cui  richiama  l'art.  248
d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, onde renderne applicabili le norme alle
obbligazioni di cui al precedente comma 3,  primo  periodo)  d.l.  25
giugno 2008  n.  112,  conv.  in  legge  6  agosto  2008  n.  133,  e
dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo periodo, d.l. 25 gennaio 2010 n.
2, conv. in legge 26 marzo 2010 n. 42, 
        a) per violazione degli artt. 3, 24, 41, primo comma,  Cost.,
poiche' l'applicazione  delle  disposizioni  indicate  pregiudica  il
legittimo affidamento che  i  creditori  del  Comune  di  Roma  hanno
riposto nel positivo svolgimento dell'attivita'  difensiva  volta  in
giudizio a tutela dei propri interessi, in tal  modo  sostanzialmente
incidendo  sulla  liberta'  di  impresa,  riconosciuta  e   garantita
dall'art. 41 Cost.; 
        b) per violazione degli  articoli  42  e  117,  comma  1  (in
relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
reso esecutivo con legge 4 agosto 1955 n. 848),  della  Costituzione,
poiche', per il tramite di un rinvio ad un termine «incertus quando»,
senza alcuna distinzione in ordine alla natura del credito insorto in
momento anteriore al 28 febbraio 2011, si  lede  (comprendendo  nelle
obbligazioni afferenti a diritti di credito anche quelle in esame nel
caso di  specie)  il  diritto  costituzionalmente  garantito  ad  una
effettiva corresponsione dell'indennita' di  esproprio  (non  essendo
certo  sufficiente  la  teorica  definizione  della  stessa),   quale
indispensabile presupposto dell'esercizio della potesta' ablatoria. 
    Nel caso di specie, a  fronte  di  una  perdita  del  diritto  di
proprieta'  risalente  agli  anni  novanta,  e  nonostante  anni   di
giudizio,  i  soggetti  espropriati  non  ottengono  la  (dovuta   ed
indispensabile) indennita' di esproprio.  Ne',  d'altra  parte,  puo'
parlarsi  di  indennita'  di  espropriazione  come  «serio   ristoro»
(secondo i criteri elaborati dalla pluriennale  giurisprudenza  della
Corte costituzionale (a partire dalla sent. n.  5/1980  e  fino  alle
sentt. nn. 347 e 348 del 2007), laddove la  somma  non  possa  essere
materialmente e celermente conseguita. 
    Per le medesime  ragioni,  non  e'  manifestamente  infondata  la
questione per violazione dell'art. 117, comma  1,  Cost.,  posto  che
l'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(reso  esecutivo  con  legge  4  agosto  1955  n.  848),  prevede  la
«protezione della  proprieta'»  ed  i  limiti  indefettibili  che  ne
consentono la perdita per causa di utilita' pubblica;. 
    10. Per tutte le  ragioni  esposte,  questo  Consiglio  di  Stato
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 78, comma 6, primo  periodo
(nella parte in cui richiama l'art. 248 d.lgs. n. 18 agosto  2000  n.
267, onde renderne applicabili le norme alle obbligazioni di  cui  al
precedente comma 3, primo periodo) d.l. 25 giugno 2008 n. 112,  conv.
in legge 6 agosto 2008 n. 133, e dell'articolo 4, comma 8-bis, ultimo
periodo, d.l. 25 gennaio 2010 n. 2, conv. in legge 26 marzo  2010  n.
42, per violazione degli articoli 2, 3,  24,  41,  primo  comma,  42,
terzo comma 97, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108, comma  secondo,
113, 114, 117, primo comma (in  relazione  all'art.  6,  comma  1  ed
all'art.  13  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  nonche'  in   relazione
all'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla  convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
resi esecutivi con legge 4  agosto  1955  n.  848),  118,  119  della
Costituzione. 
    La rimessione degli atti alla Corte  costituzionale  comporta  la
sospensione del processo in corso.